"Media digitali e innovazioni tecnologiche", Tavola rotonda su "Studi Culturali" (2014)

E’ appena uscito il nuovo numero di “Studi Cultuali” che contiene una sessione speciale curata da P. Magaudda sul tema dei media digitali, con articoli di A. Miconi, G. Balbi, G. Mascheroni, A. Delfanti e D. Bennato.

INDICE

Media digitali e innovazioni tecnologiche

a cura di Paolo Magaudda

Colpa (o merito) delle tecnologie? «Determinismi», «modellamenti» e lo studio della società digitale, di Paolo Magaudda

Artefatti tecnici e configurazioni sociali: un falso dilemma, di Andrea Miconi

Quando i nuovi media erano nuovi. Sulle ragioni socio-culturali della precoce metabolizzazione del telefonino in Italia, di Gabriele Balbi

Giovani, media digitali e vita quotidiana, di Giovanna Mascheroni

Curami, curami, curami! Malattia e condivisione in rete, di Alessandro Delfanti

Etica dei Big data. Le conseguenze sociali della raccolta massiva di informazioni, di Davide Bennato

 

Commento all’immagine di copertina, di Attila Bruni:

Sempre più spesso, ai concerti, mi ritrovo a cercare di scansare non tanto le teste delle persone davanti a me, quanto gli smartphone innalzati nel tentativo di catturare parte del live. A uno degli ultimi concerti dove sono stato, la persona accanto a me ha tenuto lo smartphone rivolto verso il palco in modalità «video» per circa mezz’ora continuata, seguendo l’esibizione che si svolgeva a pochi metri da noi su di uno schermo di circa cinque pollici.

Nella loro banalità, situazioni come questa sono sintomatiche delle relazioni multiple che intratteniamo con le tecnologie (specie quelle «mobili») e in cui queste ultime, a loro volta, ci coinvolgono. Da sociologo che si occupa di relazioni tra umani e macchine e del modo in cui proprio attraverso tali relazioni venga prodotta, riprodotta e costantemente messa a punto l’idea di «società» e di «sociale», trovo che l’elemento interessante non stia nell’oggetto tecnologico (e quindi nelle fattezze tecniche di quest’ultimo), né tantomeno nell’atto in sé (da sempre, ai concerti, come in altri tipi di manifestazioni, ci sono state persone che cercavano di registrare la performance, tanto con i walkman, quanto con le telecamere portatili). Ciò che attrae la mia attenzione sono le connessioni che vengono a crearsi tra oggetti e soggetti o, per dirla con John Law, quella sorta di «ingegneria del- l’eterogeneo» che rende (relativamente) stabile nel tempo e nello spazio l’organizzazio- ne di persone, testi, e oggetti. Come sostiene Law in Organizing Modernity, il «sociale» è infatti «materialmente eterogeneo: discorsi, corpi, testi, macchine, architetture, tutti questi elementi e molti altri sono implicati nel sociale e nella sua performance». In altre parole, come ha scritto Scott Lash all’inizio degli anni duemila a proposito delle «forme di vita tecnologica» che caratterizzano il mondo contemporaneo «non sono in grado di funzionare senza il mio telefono WAP. Non posso vivere senza il mio computer, la mia fotocamera, il fax e l’automobile. Non posso funzionare senza Ryanair, Amazon e la TV via cavo satellitare con i canali interattivi».

La vita quotidiana di diverse persone (secondo diverse ricerche, nel 2015 circa i due terzi della popolazione mondiale farà uso di un dispositivo mobile) è sempre più imbri- cata non soltanto in oggetti protesici, ma in quelle «architetture di flussi» che, secondo Karin Knorr Cetina, tendono a rendere le relazioni tra umani e macchine routinarie. Cosa ne è del potere? «Il potere consiste nel rendere le cose più facili», scrive nel 1992 Bill Gates al linguista Thomas Sebeok a proposito delle interfacce informatiche. Il pote- re si insinua dunque nella «facilitazione», cognitiva e grafica al tempo in cui scriveva Gates, ma sempre più fisica, esperienziale e relazionale oggi (con i dispositivi touch). Il potere non appartiene alle macchine e neppure alle persone, bensì prende corpo nelle relazioni che vengono a crearsi tra umani, tra umani e non-umani, nonché tra le stesse macchine e infrastrutture tecnologiche. Forse, oggi più che mai, il potere non risiede tanto nell’accelerazione e/o nell’accesso all’informazione, quanto nella compressione dell’esperienza e nell’habitus di fare del proprio quotidiano un oggetto social. Attraverso le tecnologie.

 

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